Hotel Villa Medici, 1972. Cosi ha avuto inizio la fortuna di Pitti Uomo a Firenze. Una sfida ampiamente vinta guardando indietro. Novanta edizioni. Da paura.
Numeri alla mano, le cifre sono davvero impressionanti: allora le aziende presenti erano 43 e i compratori 536. Oggi si parla di milleduecentoventi marchi ospitati.
Questa ricca edizione ha visto l’arrivo di Raf Simons alla Leopolda con una sfilata anarchica, una mostra di Karl Lagerfeld (si sta già discutendo sul perché della location, io ragionerei invece sulla qualità degli scatti), Visvim e Gosha Rubchinskiy. Eppoi. Prendendo a prestito una citazione di Ennio Flaiano, “Dev’esserci qualcuno che continua a spostare la soglia del ridicolo”: è sempre avvilente vedere il solito carrozzone di “inutili”: quelli che, abbinando improbabili colori, pattern (rigorosamente tartan), accessori, acconciature… e fingendo interminabili telefonate di lavoro, sperano di essere fotografati da chiunque sia dotato di una macchina fotografica per ritrovarsi in qualche sconosciuto blog e affrontare i mesi successivi con un istante di notorietà. Nessuno è Hannah Ewens!
Non mi voglio soffermare sugli eventi e sulla qualità della maratona fiorentina, ma segnalare una mostra realmente interessante per chi vuole capire cosa significa ispirazione e contaminazione. Al Museo Salvatore Ferragamo è in corso la mostra Tra Arte e Moda (sino al 7 aprile 2017) in collaborazione con la Biblioteca Nazionale Centrale Firenze, le Gallerie degli Uffizi, il Museo Marino Marini Firenze e il Museo del Tessuto di Prato. Cinque sedi, cinque temi.
Oltre a essere una splendida occasione per perdersi tra le sale di importanti musei, esiste la concreta possibilità di osservare un processo creativo e come la casualità non esista.
Ci si emoziona sempre difronte alla genialità di Salvatore, le sue invenzioni continuano a stupire e ci sembrano comunque ancora proiettate nel futuro. Ci si sorprende per la fortuna di (ri)vedere Elsa e Salvador, Yves e Piet, Yamamoto, Chalayan, Ackermann. Si rimane abbagliati difronte alla potenza del colore ed espressività di due artisti che amo moltissimo capaci di esprimersi attraverso abiti. Yinka Shonibare. Nick Cave.
Fermatevi a conoscere meglio Sonia Delaunay: esploratrice delle arti applicate, della grafica, della legatoria e dell’arredamento. Cambiò il mondo dell’arazzo e nel suo Laboratorio Simultaneo, in cui sperimentò geometrie ed effetti ottici applicati alla moda. Non c’era differenza. Arte e moda dialogano – grazie a lei – in perfetto equilibrio dai primi del Novecento in una simbiosi mutualistica. I bottoni disegnati da Alberto Giacometti ci fanno interrogare su cosa stiamo guardando. Mi sono sempre chiesto se Capucci è un artista, uno scultore o un sarto. C’è differenza?
E ancora. Amareggiato. Quanto sarebbe stato costruttivo ed esaltante partecipare alle serate di Germana Marucelli.
BIOGRAFIA – Giovanni Ottonello